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15 gennaio, 2015

Prof. Bruno Troisi – Sulla trascrivibilità dell’accordo di mediazione in tema di usucapione



BRUNO TROISI
La trascrivibilita’ dell’accordo di mediazione in tema di usucapione

1. Considerazioni introduttive. – L’indomani della sentenza della Corte costituzionale n. 272/2012, scrivevamo che dal testo della sentenza emergeva chiaramente come le censure di illegittimità costituzionale riguardavano soltanto il profilo del vizio formale, rappresentato dall’eccesso dalla delega, e prescindevano da valutazioni sull’istituto o sull’articolazione data dal d.lgs. n. 28 del 2010. Sì che, dicemmo, un nuovo intervento legislativo avrebbe sicuramente potuto proporre una nuova modalità di mediazione obbligatoria tanto più che nei suoi confronti la normativa comunitaria, interpretata dalla stessa Corte come “neutrale”, non avrebbe, certo, potuto rappresentare un ostacolo. Anzi, la stessa Corte di giustizia, con la pronuncia del 18 marzo 2010, resa a proposito del tentativo obbligatorio di conciliazione in materia di telecomunicazioni, aveva ritenuto che la previsione di un tentativo facoltativo di conciliazione, anziché di uno obbligatorio, non potesse rappresentare uno strumento altrettanto efficace per la realizzazione degli obiettivi perseguiti.
Con l’entrata in vigore del decreto “del fare” (d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito in legge dalla L. 9 agosto 2013, n. 98), la mediazione civile e commerciale torna a essere condizione di procedibilità dell’azione giudiziale.
Oltre alla riaffermata “obbligatorietà”, sono state introdotte alcune novità di rilievo, tali da incidere in maniera significativa sul modello originario, delineato dal d.lgs. 28/2010, modificandone alcuni dei profili di disciplina più importanti e ribadendo lo stretto nesso con il processo, in una logica deflattiva e, nel contempo, orientata alla pacificazione sociale, grazie alla riduzione della litigiosità, connessa con il raggiungimento dell’accordo conciliativo.
Di tali novità si darà conto in altra parte della Rivista.
Qui, ci si limiterà a rilevare che la mediazione torna ad essere obbligatoria – oltre che in materia di condominio, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari (esce dall’elenco la responsabilità da sinistri stradali) – in materia di diritti reali.
A tal proposito, occorre sottolineare una novità di rilievo, novità che risolve anche un problema sorto in sede di prima applicazione della mediazione obbligatoria in materia di diritti reali – segnatamente in materia di usucapione, uno dei temi più dibattuti della precedente versione del d.lgs. 28/2010 – che aveva visto la giurisprudenza contraria non soltanto all’ammissibilità di un accordo che accerta l’usucapione, ma, ancor di più, alla trascrivibilità dello stesso accordo nei registri immobiliari.
E’ stata inserita una disposizione specifica che novella l’art. 2643 c.c. In particolare, è stato aggiunto il n. 12bis all’articolo 2643, comma 1, che impone la trascrizione dell’accordo che accerta l’usucapione con la sottoscrizione autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato (questa norma è già in vigore dal 21 agosto scorso). Ai sensi della suddetta disposizione, si deve rendere pubblico col mezzo della trascrizione “l’accordo che accerta l’usucapione con la sottoscrizione autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”.
Con questa disposizione, il legislatore sancisce, in maniera chiara e inequivocabile che:
la materia dell’usucapione rientra in quella più generale dei diritti reali;
l’accertamento dell’usucapione può formare oggetto di accordo di conciliazione;
l’accordo di conciliazione avente ad oggetto l’accertamento dell’avvenuta usucapione “deve” essere reso pubblico per mezzo della trascrizione;
a tal fine è necessario che la sottoscrizione dell’accordo in questione sia autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato (ad es., da un notaio), il quale, quindi, è considerato espressamente legittimato a svolgere tale funzione (e, pertanto, esentato da qualsivoglia responsabilità).
Ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l’accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna o rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale (conseguendo, quindi, effetti ulteriori rispetto a quelli normalmente propri di un atto di autonomia privata). Gli avvocati attestano e certificano la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico. In tutti gli altri casi, l’accordo allegato al verbale è omologato, su istanza di parte, con decreto del presidente del tribunale, previo accertamento della regolarità formale e del rispetto delle norme imperative e dell’ordine pubblico (art. 12, comma 1, d.lgs. n. 28/2010, come modificato dal d.l. n. 69/2013).
2. Il dibattito in dottrina e in giurisprudenza prima del d.l. 21 giugno 2013, n. 69. Profili critici.- Com’è noto, la giurisprudenza di merito, pur ammettendo l’obbligatorietà della mediazione in materia di usucapione, era dell’opinione che non fosse trascrivibile il verbale di conciliazione, regolarmente formato e perfezionato nei suoi requisiti formali, ma avente contenuto di negozio accertativo dell’avvenuta usucapione della proprietà o di altro diritto reale di godimento. Una così rilevante eccezione alla regola contenuta nell’art. 11 d.lgs. n. 28/2010 veniva giustificata sulla base della natura del verbale di accordo in materia di usucapione. Si affermava, cioè, che la non trascrivibilità era conseguenza dell’incompatibilità giuridica tra il carattere meramente accertativo dell’accordo relativo all’intervenuta usucapione e il contenuto dell’art. 2643 c.c., che dichiara trascrivibili soltanto gli atti che realizzino un effetto costitutivo, modificativo o estintivo (ex art. 1321 c.c.).
In altre parole, l’accordo relativo all’intervenuta usucapione avrebbe natura di negozio di accertamento, produttivo, in quanto tale, di effetti meramente dichiarativi, essendo esso finalizzato a rimuovere l’incertezza in merito al regime di appartenenza di un bene. Pertanto, il verbale di conciliazione in esame, non essendo riconducibile a una delle ipotesi di cui alla disposizione dell’art. 2643 c.c., non poteva essere trascritto.
Senza, peraltro, volersi addentrare nel tormentato, antico dibattito sulla funzione del negozio di accertamento, non può tuttavia non rilevarsi come l’asserita funzione meramente dichiarativa sia tutt’altro che pacifica tra gli Autori, tanto più che, secondo alcuni, una tale funzione sarebbe, addirittura, logicamente incompatibile con il concetto stesso di negozio giuridico, che, in quanto atto di autonomia privata, è destinato a programmare interessi, a produrre, cioè, effetti proiettati al futuro (e non rivolti al passato, in funzione dichiarativa).
Invero, secondo un autorevole insegnamento, il negozio di accertamento non potrebbe che adempiere a una funzione dispositiva, che viene esercitata attraverso la “regolamentazione” degli interessi ad opera dei privati (tra le funzioni del contratto vi è, appunto, quella di “regolare” rapporti giuridici) e, nello specifico, anche attraverso la definizione della res dubia. Il nuovo regolamento, così definito, prevarrebbe, dunque, su quello preesistente, se divergente (e sulla fonte di questo), segnando a sua volta l’efficacia costitutiva del negozio medesimo. Le parti, infatti, si vincolerebbero a una data ricostruzione, interpretazione, intelligenza della situazione giuridica (che rimane configurata secondo l’accertamento), precludendosene ogni altra (in questo senso, si tratta di un negozio dispositivo, quanto meno sul piano processuale, avendo efficacia preclusiva dell’insorgere di liti).
Ad analoga conclusione pervengono quegli Autori, che attribuiscono all’accordo in questione la funzione di riconoscimento di diritto reale, come previsto, in via generale, dall’art. 2720 c.c., in tema di efficacia probatoria dell’atto di ricognizione; in materia di obbligazioni dall’art. 1988 c.c.; e in materia di diritti reali dagli artt. 969, 2944 e 1165 c.c. Sì che, la situazione preesistente sarà adeguata al riconoscimento operato dal soggetto o dai soggetti legittimati, e perciò modificata, e il contenuto della modificazione verrà fissato, una volta per tutte, in maniera certa. In altre parole, l’effetto preclusivo (tra le parti) riguardante i fatti accertati costituisce, secondo questa opinione, una vicenda modificativa della realtà giuridica preesistente.
L’adesione all’una come all’altra delle tesi prospettate si riflette, inevitabilmente, sulla questione dell’opponibilità del negozio di accertamento: in discussione è, cioè, la sua pubblicità e, dunque, la sua trascrivibilità. La giurisprudenza, come detto, la escludeva in ragione della divisata efficacia dichiarativa del verbale di conciliazione, accertativo del diritto di proprietà, efficacia dichiarativa che esclude il ricorrere di alcuna delle ipotesi previste dall’art. 2643 c.c. (atti soggetti a trascrizione)
La conclusione consegue, deduttivamente, alle premesse da cui muove: una volta, infatti, negata la valenza dispositiva al negozio di accertamento e circoscritta la sua vincolatività alle parti, la non trascrivibilità ne rappresenta il logico corollario.
Tuttavia, la soluzione prospettata dalla giurisprudenza non sembrava dotata di quella forza argomentativa che, sola, avrebbe potuto elevarla a principio di diritto. Le incertezze derivavano proprio dalle motivazioni addotte: le decisioni non escludevano – né avrebbero potuto, stante il chiaro dettato dell’art. 2651 c.c., espressamente richiamato – la trascrivibilità dell’intervenuta usucapione di un bene immobile, allorquando la stessa risulti accertata all’esito di un giudizio innanzi all’autorità giudiziaria che si chiuda con sentenza dichiarativa. Tuttavia, nel caso di specie, individuava il limite all’operare dei meccanismi pubblicitari nella tipologia dello strumento prescelto (anzi, meglio, imposto dalla legge) per il riconoscimento del diritto, vale a dire il verbale di conciliazione con contenuto di mero accertamento.
Sennonché, una simile soluzione si scontrava, innanzitutto, con la descritta possibilità di ricostruire in modo differente il negozio di accertamento, in termini di negozio con efficacia dispositiva o, comunque, modificativa. A ciò si aggiunga che non minori motivi di dubbio, rispetto alle certezze della giurisprudenza, derivavano da una valutazione delle regole generali e dei principi che governano la pubblicità del negozio di accertamento. Di là dalle impostazioni più rigorose, che, in nome della ricordata natura dichiarativa, escludono il prodursi di una vicenda suscettibile di trascrizione ai sensi degli artt. 2643 e 2644 c.c., c’è, infatti, chi ammette ugualmente la possibilità di annotare l’accertamento negoziale a margine della trascrizione del contratto, con funzione di pubblicità-notizia.
Altra dottrina precisa, poi, che l’accertamento negoziale di un acquisto a titolo originario, al pari dell’accertamento dell’estinzione di un diritto reale per non uso, può pubblicizzarsi a scopo di notizia; tanto più, che qualunque altra funzione, segnatamente quella tipica della trascrizione, consistente nella prevalenza del titolo prioritariamente trascritto, risulterebbe inutile in considerazione del fatto che la omessa o tardiva esecuzione della trascrizione dell’acquisto per usucapione non potrebbe in alcun modo pregiudicarne la prevalenza. L’usucapione, infatti, come si sa, è un titolo di acquisto comunque poziore rispetto a qualunque acquisto a titolo derivativo anche se trascritto prioritariamente, avente effetto erga omnes, a prescindere dal ricorso o meno al regime pubblicitario. Il che ridimensiona, e non poco, le preoccupazioni della giurisprudenza circa il vulnus alla certezza dei rapporti giuridici.
E tale ridimensionamento è tanto più evidente alla luce di una importante, notissima sentenza della Suprema Corte, la quale ha riconosciuto la validità (e la trascrivibilità) del contratto di compravendita con cui viene trasferito il diritto di proprietà di un immobile che il venditore dichiari di aver usucapito, ancorché l’acquisto della proprietà per usucapione non sia stato giudizialmente accertato in contraddittorio con il precedente proprietario. Altrimenti, dicono i giudici di legittimità, si verificherebbe «la strana situazione per cui chi ha usucapito sarebbe – sì – proprietario, ma non potrebbe disporre validamente del bene fino a quando il suo acquisto non fosse accertato giudizialmente»: in altre parole, il possessore ad usucapionem che, nel rispetto dei requisiti di legge, ha fruttuosamente acquistato a titolo originario, si troverebbe nella singolare posizione di essere soggetto all’onere di dover richiedere un preventivo accertamento giudiziale della titolarità del proprio diritto, per poter legittimamente disporre. Ciò non sarebbe compatibile con il normale contenuto del diritto di proprietà.
Il rilievo appare maggiormente significativo se riguardato alla luce dell’altro argomento addotto dalla giurisprudenza a sostegno del diniego alla trascrizione del verbale: ossia i pericoli alla sicurezza della circolazione dei beni nell’ipotesi di mancato accertamento giudiziale dell’avvenuta usucapione: il mediatore, si diceva, a differenza del giudice, non avrebbe né il potere né la funzione – e, dunque, gli strumenti – per accertare, innanzitutto, se il convenuto sia l’effettivo proprietario del bene per cui è controversia, e poi se il possesso vantato dal convenuto abbia, oppure no, i requisiti del possesso ad usucapionem, o per accertare l’esatta identificazione catastale del bene, l’esistenza o meno di diritti ovvero iscrizioni, annotazioni o trascrizioni ostative da parte di terzi, verificabili attraverso l’analisi delle risultanze ipocatastali (tutte attività, queste, come ora diremo, che ben potrebbe svolgere – e, di solito, svolge – il notaio, nelle sua veste di pubblico ufficiale); per non parlare, poi, dell’utilizzazione dell’istituto della mediazione non per la composizione di una lite effettiva, ma per dissimulare vicende traslative o, addirittura, operazioni negoziali a danno di terzi (ad es., dei creditori: ma la simulazione e la frode ai creditori sono fenomeni, come risulta dalla stessa casistica giurisprudenziale, sempre possibili per qualunque atto di autonomia privata, anche trascrivibile).
In particolare, la giurisprudenza di merito giustificava la propria posizione di chiusura in ragione sia del dettato dell’art. 2651 c.c. (trascrizione delle sentenze da cui risulta acquistato per usucapione il diritto di proprietà o altro diritto reale su un bene immobile) – e della circostanza che siffatta norma discorre unicamente di sentenze – sia del dettato dell’art. 2657 c.c. che non annovera il verbale di conciliazione tra i titoli per la trascrizione.
Sennonché, i nodi ermeneutici non pienamente risolti sul negozio di accertamento, da una parte, e profili normativi tralasciati o distrattamente omessi dal legislatore del 2010, dall’altra, spiegano perché fosse difficile aderire all’orientamento della giurisprudenza.
Vi si opponeva, innanzitutto, la diversa efficacia che la dottrina e parte della stessa giurisprudenza riconoscono al negozio di accertamento (e di conseguenza al verbale che ne riveste la funzione), inducendo l’interprete ad ammettere, quanto meno, una pubblicità notizia dello stesso. Né, del resto, una simile opzione avrebbe pregiudicato le eventuali ragioni avverse di chi potesse dimostrare in giudizio e, quindi, trascrivere ai fini dell’opponibilità a terzi una situazione giuridica differente da quella accertata negozialmente.
Ma vi è di più. In linea generale, escludere la natura meramente dichiarativa del negozio di accertamento consentiva, alla luce del dettato dell’art. 11 d.lgs. n. 28/2010 nonché degli artt. 2645 e 2647 c.c., di procedere alla sua trascrizione nei registri immobiliari quante volte le sottoscrizioni del relativo atto siano state autenticate da un pubblico ufficiale (ad es. da un notaio, che avrà, altresì, provveduto alle visure e a ogni altra incombenza accertativa), potendo cioè esso assumere il valore di una scrittura privata autenticata.
D’altra parte, non si vede perché si debbano trascrivere, ai sensi dell’art. 2653, n. 6, gli atti e le domande (anche quelle rivolte a promuovere un procedimento arbitrale) che interrompono il corso dell’usucapione, al fine di rendere opponibile l’interruzione, da parte del proprietario, ai terzi che abbiano acquistato diritti dal possessore in base a un atto trascritto in precedenza, e non si sarebbero potuti trascrivere, invece, gli atti che confermano il decorso dell’usucapione. E ciò, anche allo scopo di rendere l’atto di acquisto conoscibile all’eventuale vero dominus (diverso, magari, secondo i timori espressi dai giudici di merito, dal convenuto nel procedimento di mediazione), al fine di agevolarlo nell’individuazione del soggetto legittimato passivamente all’azione di rivendicazione. La trascrivibilità del verbale di accordo di avvenuta usucapione avrebbe potuto, inoltre, trovare giustificazione nell’ambito della teoria secondo la quale la presenza del requisito della non clandestinità del possesso (ad usucapionem) va valutata nei riguardi del proprietario.
Né si comprende perché si debbano trascrivere, ai sensi dell’art. 2643, n. 13 c.c., le transazioni che hanno per oggetto controversie riguardanti i diritti reali e non, invece, un accordo di mediazione avente lo stesso contenuto e, magari, la stessa funzione transattiva (senza, tuttavia, risolversi in una transazione in senso proprio: ad es., il proprietario catastale riconosce l’intervenuta usucapione e il nuovo proprietario s’impegna a pagare i tributi pregressi e tutte le spese gravanti sul bene usucapito).
Infine, va sottolineato il fatto che l’affermata intrascrivibilità del verbale accertativo dell’avvenuta usucapione non soltanto appariva manifestamente contraria alla ratio dell’istituto (della normativa sulla mediazione obbligatoria), ma comportava una vera e propria contraddizione nel sistema, poiché avrebbe costretto le parti – già obbligate, a pena d’improcedibilità, a intraprendere la procedura di conciliazione – a ricorrere poi al giudice, pur quando avessero raggiungo un accordo, qualora intendessero opporre ai terzi gli esiti raggiunti. Una sentenza del giudice, infatti, nell’ottica della giurisprudenza in questione, si sarebbe resa necessaria per le finalità di cui all’art. 2651 c.c. (trascrizione di sentenze).
Certo, se si fosse consolidato, a livello di giurisprudenza di legittimità, siffatto orientamento, sarebbero state palesemente contraddette, nella materia in questione, le finalità deflattive e di celerità della riforma introdotta dal d.lgs. n. 28/2010. Sì che, un’interpretazione costituzionalmente orientata (nella direzione del principio di ragionevolezza) del d.lgs. 28/2010 avrebbe dovuto condurre o a un’interpretazione favorevole alla trascrivibilità del verbale di accordo sull’intervenuta usucapione, e quindi tale da favorire l’applicazione del procedimento di mediazione in funzione deflattiva del contenzioso giudiziario; o ad escludere le controversie in materia di usucapione dalla mediazione obbligatoria, giacché, diversamente, vi sarebbe stata un’imposizione irragionevole del procedimento di mediazione alle parti. L’incostituzionalità sarebbe stata, infatti, evidente, poiché sarebbe stata frustrata la stessa ratio dell’istituto, che è quella di operare come un filtro per evitare il processo: ma se il processo non è evitabile, l’istituto si sarebbe risolto in un onere imposto alle parti con irragionevolezza e, quindi, con violazione dell’art. 3 Cost.
Ma la l. 98/2013 ha fugato ogni dubbio in proposito ed evitato pericolose ambiguità.
3. Profili ricostruttivi. – Sennonché, l’inserimento del n. 12-bis all’interno dell’art. 2643 c.c. solleva numerosi e delicati problemi, sul piano sistematico, in tema di tutela dei terzi nella circolazione dei beni immobili.
Invero, a differenza degli effetti “preclusivi”, sia tra le parti che rispetto a tutti i terzi, prodotti dalla trascrizione della sentenza di accertamento di cui all’art. 2651 c.c. (che ha funzione di mera pubblicità notizia), gli effetti della trascrizione degli atti elencati nell’art. 2643 c.c. – che riguardano le vicende relative a beni immobili o a diritti reali immobiliari – sono espressamente disciplinati dall’art. 2644 e dall’art. 2650 c.c., che regolano la soluzione dei conflitti tra più aventi causa dallo stesso autore, alla luce del principio della continuità delle trascrizioni. In altre parole, la trascrizione dell’accordo di conciliazione, accertativo dell’usucapione, ha funzione dichiarativa ed è disposta ai sensi dell’art. 2643 c.c. e per gli effetti di cui all’art. 2644 c.c, alla luce del principio di cui all’art. 2650 c.c.
Tale significativa differenza si giustifica in ragione del fatto che l’accordo di mediazione e la sentenza di cui art. 2651 c.c. sono due fattispecie che hanno natura, contenuto ed effetti nettamente distinti. L’accordo conciliativo, in quanto atto di autonomia privata avente ad oggetto l’accertamento dei presupposti su cui si fonda l’usucapione, produce effetti preclusivi, rispetto ai fatti accertati, solo tra le parti e ai loro aventi causa ed è inopponibile ai terzi che vantino titoli trascritti o iscritti anteriormente alla trascrizione dell’accordo stesso (si pensi all’acquirente da chi appare legittimo proprietario in base alle risultanze dei registri immobiliari, al titolare di un diritto reale, al creditore ipotecario e così via): pertanto, a seguito dell’accordo accertativo, laddove non partecipino tutti i soggetti che appaiono titolari della proprietà o di altro diritto reale del bene usucapito sulla base dei titoli trascritti, l’usucapiente acquisterà un diritto che potrà far valere nei confronti dei terzi nei limiti dei diritti spettanti all’usucapito, nel rispetto delle regole sulla continuità delle trascrizioni. La scelta operata dal legislatore appare, per certi aspetti, coerente, sul piano sistematico, con i principi in tema di pubblicità immobiliare e di certezza nella circolazione (lato sensu) degli immobili: gli effetti prodotti da un atto di autonomia privata non possono, in alcun modo, danneggiare soggetti-terzi, rimasti estranei all’accordo, che vantino diritti in base a titoli trascritti in precedenza. In altre parole, il soggetto usucapiente potrà far valere il diritto usucapito esclusivamente nei confronti di colui che ha partecipato all’accordo di mediazione, restando impregiudicati i diritti dei terzi (creditori ipotecari, acquirenti di un diritto reale di godimento dall’usucapito, legittimi proprietari ecc.) che non hanno partecipato allo stesso.
Invece, la sentenza di accertamento dell’usucapione va trascritta con funzione di pubblicità notizia (la sentenza, infatti, non fa che accertare una situazione già realizzatasi in fatto) e non è soggetta ai principi di cui agli artt. 2644 e 2650 c.c. Sì che, in forza della “retroattività” degli effetti dell’usucapione, cesserà l’efficacia delle iscrizioni e delle trascrizioni a carico del precedente proprietario e diverrà inoperante il limite imposto alle ricerche ai fini della continuità delle trascrizioni. Qui, il soggetto usucapiente avrà interesse a dare pubblicità al suo acquisto non ai fini della continuità delle trascrizioni o per vincere eventuali conflitti tra più aventi causa da un comune autore, ma per consentire ai suoi futuri aventi causa, fissando l’anello di una nuova catena, di avvantaggiarsi delle presunzioni legali proprie del sistema della pubblicità immobiliare.
Insomma, mentre alla sentenza dichiarativa consegue l’acquisto della proprietà (o di altro diritto reale) in capo all’usucapiente senza alcun collegamento con la precedente proprietà, e perciò opponibile erga omnes, all’accordo di mediazione conseguirà, per l’usucapiente, l’acquisto di un diritto opponibile ai terzi nei limiti dei diritti spettanti all’usucapito e nel rispetto delle regole sulla continuità delle trascrizioni. L’inserimento dell’accordo di mediazione all’interno dell’art. 2643 c.c. e il conseguente suo assoggettamento alla regola di cui all’art. 2644 c.c. comportano, da un lato, che gli effetti propri dell’accertamento negoziale si producano non soltanto tra le parti ma anche nei confronti dei loro aventi causa, e, dall’altro, che, essendo stato l’usucapiente equiparato (in forza del potere conformativo del legislatore), sul piano dell’opponibilità del suo acquisto, all’avente causa del soggetto usucapito, l’eventuale conflitto tra usucapiente ed eventuali aventi causa dell’usucapito andrà risolto secondo le regole fissate dall’art. 2644 c.c.
Peraltro, l’equiparazione, sotto il profilo dell’opponibilità ai terzi, dell’accordo di mediazione agli atti di acquisto a titolo derivativo non significa che tale accordo sia produttivo di effetti traslativi: l’accordo accertativo non ha come effetto l’acquisto per usucapione ma produce esclusivamente l’effetto preclusivo circa la sussistenza dei fatti che ne costituiscono il presupposto, i soli che rientrano nella sfera cognitiva e dispositiva delle parti; l’acquisto del diritto è un effetto legale, che non può che derivare dall’esercizio del possesso con le modalità e per la durata previste dalla legge. In altre parole, l’acquisto per usucapione non può mai essere l’effetto di un’attività negoziale, ma è – essenzialmente – effetto legale della fattispecie tipizzata dal legislatore.
D’altra parte, l’equiparazione in parola non significa neanche che l’usucapione accertata con l’accordo di mediazione perda il carattere di acquisto a titolo originario per configurarsi alla stregua di un acquisto a titolo derivativo, essendo, infatti, inapplicabili i principi fondamentali che regolano tale tipo di acquisto: sia quello secondo cui nemo plus iuris transferre potest quam ipse habet (con tutte le sue molteplici implicazioni), in assenza di un qualunque effetto traslativo (come si è detto, l’acquisto dell’usucapiente è effetto legale, legato al concorso degli elementi costitutivi della fattispecie), sia quello resoluto iure dantis resolvitur et ius accipientis, giacché il venir meno del diritto dell’usucapito (che, come si è detto, non è un “dante causa” in senso proprio) nulla toglie al possesso ad usucapionem dell’usucapiente. Sarebbe davvero singolare che una identica fattispecie acquisitiva debba mutare natura a seconda che i suoi stessi elementi costitutivi siano accertati dai privati piuttosto che dal giudice, tanto più se si considera che è lo stesso legislatore che ha stabilito l’obbligatorietà della mediazione (che, quindi, non è il frutto di una libera scelta delle parti) in questa materia. D’altra parte, come più su si è sottolineato, la stessa Corte di Cassazione (2485/2007) ha affermato che il soggetto che abbia esercitato il possesso per il tempo sufficiente al compimento dell’usucapione acquista la proprietà del bene ex art. 1158 c.c. (cioè, a titolo originario), ancorché tale acquisto non sia stato giudizialmente accertato giudizialmente, in contraddittorio con il precedente proprietario: a maggior ragione, quindi, tale acquisto (a titolo originario) si produrrà all’esito dell’accordo di mediazione accertativo dei presupposti dell’usucapione.
Il fatto, poi, che il legislatore abbia inserito tale accordo nell’ambito dell’art. 2643 c.c. non è di per sé decisivo ai fini della determinazione della natura dell’acquisto, se si considera che nello stesso articolo sono inserite, ad esempio, al n. 5, le rinunzie abdicative in relazione alle quali – in quanto negozi meramente dismissivi – non è, per definizione, configurabile una vicenda circolatoria in senso stretto e, dunque, una vicenda acquisitiva a titolo derivativo. La verità è che la disciplina della trascrizione dell’accordo di mediazione, proprio come quella della rinunzia, non è in linea con gli effetti sostanziali che all’usucapione conseguono: l’effetto acquisitivo per usucapione, infatti, in assenza di un’attribuzione patrimoniale, è intimamente incompatibile con quello traslativo, che è alla base dell’acquisto derivativo.
La ragione dell’inserimento dell’accordo di mediazione accertativo dell’usucapione nell’art. 2643 c.c. – e della conseguente deroga alla regola dell’efficacia preclusiva erga omnes della sentenza dichiarativa ex art. 2651 c.c. – va, piuttosto, ricercata, a nostro avviso, nella necessità di tutelare i terzi (pretermessi dall’accordo) che potrebbero essere, irrimediabilmente, danneggiati dall’effetto legale dell’acquisto a titolo originario. E ciò, non tanto per le maggiori garanzie di certezza offerte dalla sentenza, giacché l’accordo di mediazione ha come condizione di trascrivibilità l’intervento di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato, dotato di penetranti poteri di controllo, quanto piuttosto per il fatto che ai terzi eventualmente titolari di diritti (prioritariamente trascritti) sul bene usucapito non sarebbe riconosciuta alcuna tutela. Invero, nel caso della sentenza di accertamento, i terzi che vantino diritti prioritariamente trascritti sono tutelati con l’azione di opposizione di terzo ex art. 404, comma 2, c.p.c. davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la detta sentenza, azione che sarebbe affatto preclusa ai terzi in caso di accordo di mediazione, che non è una sentenza contro cui fare opposizione, ma un atto di autonomia privata. Ecco, allora, che la necessità di tutela dei terzi esige una differente disciplina delle regole di opponibilità e un diverso ruolo della trascrizione. In tal caso, l’usucapiente dovrà tentare un nuovo accordo di conciliazione con i soggetti esclusi dal precedente, ed eventualmente agire in giudizio – integrando il contraddittorio – per ottenere la sentenza di accertamento.