dell'Avv. Mauro Garau
Breve excursus storico della disciplina delle società sportive.
Le società sportive sono sempre state considerate società anomale, o di diritto speciale, oggetto di dispute dottrinarie circa la natura e la tipologia stessa di società, dunque fonte di incertezze giuridiche. La distinzione tra società anomale o speciali non è meramente concettuale ma si riflette sul piano della disciplina. È dunque opportuno analizzare il quadro normativo che il legislatore ha prodotto in materia per dare una corretta qualificazione giuridica delle società sportive (in particolare quelle calcistiche professionistiche) e verificare le conseguenze in termini di disciplina che tale qualificazione comporta. L’ evoluzione di alcuni settori dello sport professionistico, in particolar modo il calcio, hanno indotto il legislatore ad operare un riordino della materia, attuato a partire dal 1981, con la legge n. 91 (norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti).
Il 4 marzo 1981, data in cui il Senato approvava tale legge , segna un momento importante dal punto di vista giuridico per il mondo sportivo professionistico, la legge n. 91/1981 costituisce un punto cardine della disciplina delle società sportive professionistiche. Oltre che disciplinare i rapporti tra società e lavoratori (sportivi) professionisti, stabilendo che la prestazione a titolo oneroso dello sportivo professionista forma oggetto di rapporto di lavoro subordinato, il legislatore con questa legge si occupò della forma e dell’ organizzazione delle società professionistiche. I tre aspetti in materia di diritto societario interessati maggiormente dall’emanazione di tale legge sono:
1) l’elemento causale; 2) la materia dei controlli; 3) la rilevanza dell’affiliazione sportiva.
1. L’ art. 10 al 1° comma impone a tali società la forma della Società per Azioni o della Società a responsabilità limitata.
Lo stesso articolo al comma 2° disponeva che l’ atto costitutivo doveva prevedere il reinvestimento degli utili conseguiti dalla società, per il perseguimento esclusivo dell’ attività sportiva. Era dunque esclusa la possibilità di perseguire il fine lucrativo, o meglio, di redistribuire tra i soci l’ utile conseguito. L’uso dell’imperfetto in relazione al secondo comma è dovuto al fatto che, come si vedrà nel seguito della trattazione, è stato modificato dalla legge n. 586 del 1996, e con esso gran parte della legge n. 91/1981. Le previsioni del primo e secondo comma dell’ articolo 10, hanno origini lontane.1
Prima della legge n. 91/1981 le caratteristiche fondamentali delle associazioni sportive erano: struttura aperta con possibilità di mutamento dei componenti, organizzazione fissata dallo statuto sociale, patrimonio proprio distinto da quello degli associati. L’unica differenziazione fra le associazioni calcistiche e le altre associazioni sportive è che alle prime era richiesto un minimo di forma scritta, nello specifico lo statuto sociale che andava allegato alla domanda di affiliazione alla federazione sportiva. A tutt’oggi questa tipologia di organizzazione viene attuata dalla maggior parte delle società calcistiche dilettantistiche. Con il profondo evolversi della situazione socioeconomica le associazioni calcistiche si sono rivelate inadeguate alla gestione delle trasformazioni. Il solo contributo volontario degli associati non è stato più sufficiente alla copertura delle spese e pertanto le associazioni sono state costrette a rivolgersi al mercato per far fronte alle necessità. Si è quindi imposta, da parte delle autorità calcistiche, la necessità di dotare le società di nuovi impianti normativi che costituissero un quadro di riferimento adeguato. È in quest’ottica che il Consiglio federale della Figc emanò nel 1966 due distinti provvedimenti: con il primo, del 16 settembre, impose lo scioglimento delle associazioni calcistiche professionistiche e la nomina di commissari straordinari, incaricati di procedere alla liquidazione delle associazioni stesse e alla loro ricostituzione nella forma di S.p.A. o S.r.l. Con il secondo, del 16 dicembre, predispose uno schema di statuto-tipo nel quale era prevista l’ esclusione della distribuzione degli utili tra i soci e l’obbligo di reinvestirli per il raggiungimento di finalità sportive. Peraltro, l’intervento della Figc in assenza di uno specifico fondamento in norma di legge, incontrava opposizione in sede giurisprudenziale, ove si era rilevato che il provvedimento di scioglimento dei consigli direttivi delle associazioni sportive determinava la lesione di un diritto soggettivo, essendo lo scioglimento di un ente privato una sanzione eccezionale che deve trovare necessariamente nella legge la sua specifica determinazione. La “ clausola non lucrativa “ creò problemi in sede di omologazione degli statuti. Il diniego di omologazione portò alcune società ad eliminare tale clausola, palesando la necessità di un intervento del Legislatore sul tema.Anche in dottrina le reazioni ai provvedimenti federali furono contrastanti1: vi era chi riteneva che l’esclusione della ripartizione degli utili comportasse la nullità delle società e chi invece riteneva le società calcistiche, società a pieno titolo, considerando realizzata la causa lucrativa da qualsiasi destinazione degli utili a finalità egoistiche dei soci. I propositi di rinnovamento dovettero attendere quindici anni per essere legittimati dal legislatore.
La legge n. 91/1981 come detto impose alle società che tesseravano calciatori professionisti il vincolo della forma: s.p.a. oppure s.r.l.
Il legislatore scelse dunque il modello di società di capitali con l’esclusione della forma dell’accomandita e della cooperativa. La prima esclusione è giustificata dall’intenzione di escludere la possibilità che una categoria di soci, gli accomandatari, avessero il predominio stabile all’interno della società. L’ esclusione della forma Cooperativa fu invece una conseguenza logica del carattere piramidale dell’organizzazione del C.O.N.I., nella quale l’atleta ha una posizione subordinata rispetto agli altri soggetti dell’ordinamento, quali: società, federazioni, comitato olimpico.
La disciplina per tali società era dunque quella generale prevista dagli articoli 2247 e seguenti del Codice Civile e quella specifica del tipo di società prescelto prevista nel Capo V ( art. 2325 ss. ) e VI (art. 2462 ss. ) del titolo V del Codice Civile, rispettivamente per le s.p.a. e le s.r.l. È questo il momento di spiegare in cosa consisteva alla luce del dettato originario della legge n. 91/1981 la specialità o anomalia delle società di calcio.In materia di società l’attributo di specialità viene adoperato con due possibili ed alternativi significati. In un primo senso sono reputate speciali le fattispecie di società che presentano tutti i requisiti indicati nella definizione della fattispecie generale più alcuni specifici. Presentano quindi oltre ai requisiti generali anche altri requisiti specifici che non escludono ma qualificano i primi. In un secondo senso si parla di società speciali per riferirsi a fattispecie nelle quali manca un elemento della fattispecie generale: ad esempio il requisito causale dello scopo di lucro, sia esso soggettivo che oggettivo. Al fine di evitare confusioni può riservarsi la qualifica di società speciali a quelle rientranti nel primo gruppo e società anomale a quelle rientranti nel secondo.2
La società sportiva veniva fatta rientrare nell’ambito delle società causalmente anomale per specialità dell’oggetto. Come visto in precedenza l’anomalia consisteva nel non poter distribuire tra i soci l’utile eventualmente conseguito, si trattava quindi della mancanza del requisito del fine di lucro soggettivo. La presenza nello statuto della c.d. clausola non lucrativa non garantiva un’adeguata autonomia alle società, l’oggetto sociale era il fine sportivo, nella gestione sportiva si esauriva il suo oggetto ed il potenziamento dell’attività sportiva era il suo unico scopo. Tale anomalia non permetteva di sfruttare i potenziali che derivano dall’utilizzo della forma di S.p.a., forma che quasi tutte le società di serie A e B scelsero. Peculiari ad esempio sono, in una S.p.a., le vicende relative all’emissione di azioni o quote sociali. L’esclusione di ogni tipo di finalità lucrativa rendeva inapplicabile quella parte della disciplina delle società che regola o presuppone la distribuzione degli utili tra i soci. Non potevano essere emesse quelle categorie di azioni che si distinguono dalle ordinarie per la diversità della misura o delle modalità di partecipazione agli utili. Non era possibile emettere azioni di risparmio, azioni di godimento, azioni privilegiate nella distribuzione di utili, mentre non era esclusa l’emissione di azioni privilegiate nel rimborso del capitale nominale in sede di liquidazione ( art. 13 2°comma legge n. 91/1981 ). Anche la possibilità di fare ricorso al mercato di risparmio era notevolmente limitata dalla mancanza dello scopo di lucro e le società sportive per azioni vedevano pregiudicata la possibilità di quotarsi in borsa e più in generale di diffondere il proprio titolo tra il pubblico dei risparmiatori. Affrontare il discorso sulla quotazione in borsa nonostante la legge n. 91/1981 risalga ai primissimi anni ‘80 non è prematuro. Nel 1984 il Tottenham si quotò in borsa e molte altre società inglesi seguirono l’esempio e nel giro di pochi anni negoziavano i propri titoli in borsa circa 20 club d’oltre Manica3. È evidente che in Italia non si era colto appieno il margine di miglioramento sul quale l’industria del pallone poteva contare. Le azioni delle società di calcio italiane erano per loro natura destinate ad una cerchia ristretta di soggetti, animati da interessi sportivi o economici strettamente connessi con la gestione dello sport. Si era creata una contraddizione tra la figura del socio di capitali, intorno al quale ruotano ingenti interessi economici e lucrativi e quella del socio < romantico > innamorato dello sport ed interessato esclusivamente allo sviluppo ed al successo dell’attività sportiva4, in dottrina si è parlato in proposito anche di homo oeconomicus ossia chi predispone risorse economiche per conseguire risultati economici e homo ludens, ossia chi immagina l’impresa sportiva alla stregua del gioco e spettacolo che essa fornisce.5Non contrastava con la natura e la disciplina delle società sportive la emissione di obbligazioni. Inutile era l’emissione di obbligazioni convertibili per il naturale disinteresse a convertire un titolo produttivo di reddito in un titolo privo del requisito della redditività. Sul punto torneremo nei capitoli seguenti.
2. Mediante l’ obbligo della forma, il legislatore ha inteso sottoporre le società sportive professionistiche al sistema dei controlli tipico delle società di capitali, controlli adeguati agli interessi economici e sociali coinvolti. Il sistema di controlli ai quali erano sottoposte le società sportive merita di essere approfondito. Esse erano sottoposte all’approvazione ed al controllo sulla gestione da parte delle federazioni sportive nazionali cui erano affiliate, per delega del C.O.N.I. e secondo modalità approvate dal C.O.N.I. ex articolo 12 primo comma della legge n. 91/1981. Il sistema di vigilanza si rivolgeva dapprima alle singole delibere riguardanti quegli atti, che non si inseriscono con carattere di normalità nell’esercizio delle attività abitualmente spiegate dalle imprese e che comportano esposizioni finanziarie ( art. 12 secondo comma, legge n. 91/1981 ). Si indirizzava poi all’intera gestione economica – finanziaria al fine di individuare irregolarità che, se si rivelavano gravi, legittimavano la federazione competente a richiedere al tribunale, con motivato ricorso, la messa in liquidazione della società e la nomina di un liquidatore ( art. 13 primo comma legge n. 91/1981 ). La mancata previsione dell’esclusività dei controlli esercitabili dagli organismi sportivi e la specificità della loro funzione, consistente nell’esigenza di porre al riparo lo sport professionistico dal rischio di gestioni poco trasparenti, indussero la dottrina e la giurisprudenza prevalente a ritenere l’azione ex art. 13 cumulabile con il rimedio dell’art. 2409 codice civile ( denuncia al tribunale ), che, per essere diretto alla tutela delle posizioni dei soci di minoranza e dei terzi ( creditori e non ) che vengono in rapporto con la società, presenta una diversa ratio ed un diverso ambito applicativo.
L’indicato concorso nella materia in esame di un duplice ordine di controlli, per la confluenza della normativa specialistica con quella codicistica relativa alla gestione della società di capitali, sembra giustificare la qualificazione delle società sportive di allora ( fino all’emanazione della legge n. 586/1996 ) come le < società private più controllate del nostro ordinamento. 6
Di fatto però una simile duplicazione di controlli ha dimostrato una insoddisfacente capacità di tenuta, non sempre riuscendo a prevenire marcate irregolarità e disinvolte gestioni, sovente causa di bilanci deficitari e di situazioni pre-fallimentari. Inoltre il difficile coordinamento tra i diversi tipi di controllo e la totale assenza di dati normativi sulla delimitazione dei rispettivi ambiti applicativi possono provocare una deresponsabilizzazione degli organismi di controllo e fornire comodi alibi a condotte inerti, suggerite unicamente dal desiderio di evitare l’adozione di provvedimenti impopolari perché diretti a danneggiare sodalizi sportivi aventi ampio seguito.
3. Un altro aspetto importante delle società sportive trattato dalla legge n. 91/1981 riguarda la loro costituzione. Prima di procedere al deposito dell’ atto costitutivo, a norma dell’ articolo 2330 del codice civile, la società deve ottenere l’affiliazione da una o più federazioni sportive nazionali riconosciute dal C.O.N.I. Era giurisprudenza consolidata il rigetto di omologazione dell’atto costitutivo delle società che non avessero ottenuto l’affiliazione, a sua volta l’iscrizione al registro delle imprese era condizione per l’efficacia dell’affiliazione, i cui effetti rimanevano sospesi fino al deposito (nei 30 giorni seguenti l’iscrizione) dell’atto costitutivo omologato presso la federazione. La natura giuridica dell’atto di affiliazione7, quale presupposto per la costituzione della società, non può che essere pubblicistica ed in particolare esso è un interesse legittimo della società ad essere affiliata alla federazione competente. È un atto prodotto nell’ambito dell’esercizio dei poteri di controllo attribuiti dallo stato agli organi dell’ordinamento sportivo, ai quali sono sottoposte le società che tesserano atleti professionisti. Nel caso di rifiuto dell’affiliazione è necessaria una adeguata motivazione e la competenza è del giudice amministrativo.
La legge n. 91/1981 pur consentendo una svolta positiva per le società calcistiche professionistiche risulta, alla luce delle considerazioni fatte fin qui, una legge che non consentiva ai club di agire sul mercato in autonomia e perseguendo i fini tipici delle società di capitali, cosicché erano pregiudicate le possibilità di adottare nel settore nuove strategie per la gestione dell’impresa . Il crescente giro d’affari che lo sport ed in particolare il calcio producono hanno fatto sì che la disciplina proseguisse verso una “normalizzazione” di queste società. Il processo evolutivo della disciplina delle società sportive professionistiche, vede come tappe seguenti la sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 1995, la c.d. sentenza Bosman8, e la legge n. 586/1996, che converte il decreto legge n. 485/1996, che dalla sentenza Bosman è stato ispirato. Il legislatore nell’emanare il decreto legge n. 485/1996 è stato mosso dall’esigenza di consentire alle società che esercitano sport in modo professionistico di reperire mezzi finanziari e capitale di rischio tra il pubblico. Nella relazione al decreto legge l’intento dichiarato è quello di < consentire il perseguimento del fine di lucro, come è naturale per tutte le società di capitali. Il modo utilizzato dal legislatore ha destato qualche perplessità9, l’art. 4 del decreto legge, modifica l’art.10 della legge n. 91/1981 sopprimendo la parte in cui prevedeva il vincolo di reinvestimento degli utili per fini sportivi, senza inserire nessun precetto positivo che autorizzi la distribuzione degli utili ai soci. È stato affermato10 che in realtà il problema non si pone in quanto riprendono pieno vigore le disposizioni di carattere generale previste nel codice civile sulla ripartizione tra i soci degli utili.L’unico limite posto dalla legge n. 586/1996 consiste nell’obbligo di reinvestire il 10% degli utili per le scuole giovanili e di addestramento, la restante parte potrà essere distribuita come il codice civile prevede per le S.p.a. e le S.r.l. Il venir meno dell’elemento di anomalia causale rispetto al sistema codicistico che aveva fin qui animato il dibattito attorno alle società sportive comporta importanti ripercussioni sulla disciplina di queste ultime. Dei tre punti trattati sopra, il punto 1 e il punto 2 sono stati modificati da questa legge la quale ha invece lasciate invariate le norme in tema di costituzione e affiliazione sportiva. Sul punto però ha inciso la riforma sulle società di capitali, in particolar modo abrogando l’istituto dell’omologazione. Le società calcistiche sono ora assoggettate a quei tratti di disciplina societaria strettamente connessi con la finalità lucrativa. È possibile, ( contrariamente a quanto visto sopra ), emettere oltre alle azioni ordinarie anche altre azioni speciali quali le azioni privilegiate, le azioni di godimento, le azioni a voto limitato e le azioni in favore dei prestatori di lavoro. Per quanto attiene invece alle azioni di risparmio, anch’esse caratterizzate dall’essere privilegiate nella ripartizione degli utili oltre che nel rimborso del capitale, esse com’è noto, possono essere emesse solo dalle società le cui azioni ordinarie siano quotate in borsa, ma il punto sarà oggetto di approfondimento nei capitoli seguenti. La società sportiva professionistica va dunque perdendo i caratteri “anomali” ma mantiene ancora caratteri di specialità, ad esempio in relazione all’oggetto sociale.
L’art. 4 del decreto legge n. 485/1996 modifica il 2° comma dell’art. 10 legge n. 91/1981 nel modo seguente:
< l’atto costitutivo deve prevedere che la società possa svolgere esclusivamente attività sportive ed attività ad esse connesse o strumentali >.
Questo vincolo all’estensione dell’oggetto sociale merita di essere analizzato. Il concetto di attività strumentali può essere facilmente individuato nella connessione teleologica della attività con l’esercizio dell’attività sportiva, la campagna abbonamenti che si svolge in estate può essere un esempio. Crea dei problemi interpretativi invece la connessione di tali attività con quella sportiva. La legge tace per quanto riguarda il criterio in base al quale valutare la connessione.
Potrebbero essere considerate connesse quelle attività che trovino nell’attività sportiva e nella gestione di squadre ed atleti l’occasione esclusiva per il loro esercizio11.
Quella che si può considerare l’operazione che riconduce le società sportive professionistiche nello schema ordinario del diritto societario, è completata dai commi 2 e 3 dell’art. 4 del decreto legge n. 485/1996 che sostituiscono rispettivamente gli art. 12 e 13 della legge n. 91/1981. La prima norma riduce i poteri di controllo delle federazioni, ( che come visto sopra erano molto fitti ma comportavano risultati non soddisfacenti ), limitandoli al solo scopo di garantire il regolare svolgimento dei campionati, ponendo in capo alle società solo l’onere di dimostrare di avere mezzi sufficienti per affrontare le spese nascenti dalla partecipazione ai campionati. La seconda norma non permette più alle federazioni nazionali di decidere lo scioglimento e la messa in liquidazione delle società, potere questo di esclusiva competenza dell’assemblea dei soci, ma le demanda la facoltà di denuncia al Tribunale ex art. 2409 del codice civile, in presenza di fondati sospetti di irregolarità nella gestione. In particolare la F.I.G.C. esercita la funzione di controllo della gestione delle società ad essa affiliate ( art. 16 dello Statuto Federale ), attraverso la Commissione per la vigilanza delle società calcistiche professionistiche ( CoViSoC ), che è appositamente dotata del potere di controllo sulla gestione economico-finanziaria delle società ( art. 80 delle Noif 12) e del potere sanzionatorio ( art. 81 delle Noif ).13
Le società per consentire un’agevole controllo e garantire la trasparenza, devono adottare un piano dei conti obbligatorio e redigere delle situazioni periodiche infrannuali ( art. 84 e 85 delle Noif ) sulla base delle quali dovrà poi compilare un prospetto ricavi/indebitamento. Dal rapporto tra ricavi ed indebitamento viene determinato un indice in relazione al quale è consentito o meno, alle società, il libero accesso al mercato. In particolare l’indice determinerà: a) il libero accesso alle operazioni di mercato, b) il limite di effettuare acquisti solo se finanziati con mezzi propri, c) la possibilità di effettuare acquisti solo sé trovano totale copertura in precedenti o contestuali cessioni. La sanzione più grave è la negata iscrizione al campionato, che si verifica quando l’indice assume valori di rischio, sintomo di grave squilibrio debitorio. A tale disciplina si affianca ora quella disposta per volere dell’U.E.F.A relativa al c.d. fair play finanziario, in merito alla quale verrà dedicato un apposito articolo di approfondimento.
Avv. Mauro Garau