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25 aprile, 2020

Il fondamento dei diritti dell’uomo. Da Norberto Bobbio all’emergenza da Covid-19 di Fabrizio Carta

Fabrizio Carta



Bobbio

Non v’è dubbio che l’attuale emergenza dovuta alla così chiamata pandemia da Coronavirus metta alla prova la resistenza del concetto di diritti fondamentali.
Nel presente contributo si cercherà di analizzare tale tensione, a partire del saggio di Norberto Bobbio intitolato Sul fondamento dei diritti dell’uomo, pubblicato ne L’età dei diritti, Einaudi, Torino (1990, pp. 5 – 16).

Perché il diritto positivo riconosce (o almeno dovrebbe riconoscere) i diritti fondamentali? E’ questo, volendo semplificare, il problema del fondamento dei diritti.
Tuttavia, per dare una risposta a tale interrogativo è necessario prima risolvere alcune questioni preliminari, concernenti sia la nozione di fondamento sia, per quel che riguarda tale profilo, la nozione stessa di diritto. Muta infatti la prospettiva a seconda del punto che si prende a riferimento: va individuato il fondamento del diritto che si ha o del diritto che si vorrebbe avere, come afferma Bobbio?
Nel primo caso il diritto (quale esso sia) esiste ed esiste perché vi è una norma a riconoscerlo. Il diritto ha in questa ipotesi un fondamento che potremmo chiamare formale. Nel secondo caso, invece, il diritto non esiste e ricercarne il fondamento significa fornire le ragioni che sostengono la sua legittimità, ovvero la sua necessarietà e indefettibilità in un ordinamento giuridico. Ma questo, se è vero che riguarda un diritto che non esiste e che si vorrebbe avere, può ben interessare anche un diritto che già esiste: individuato il suo fondamento formale, ci si può domandare i motivi per cui quella norma giuridica ha affermato quel diritto. I motivi addotti storicamente dalla filosofia del diritto sono tre e possono essere così schematizzati:
” il diritto positivo non fa che riconoscere diritti che l’uomo possiede già, in quanto coessenziali alla sua natura;
” il diritto positivo riconosce quei diritti che sono autoevidenti alla ragione dell’uomo;
” il diritto positivo riconosce (o meglio in questo caso dispone) i diritti sui quali in un dato momento storico esiste il consenso dei consociati.
Sembra più utile trattare congiuntamente i primi due modi di fondare i diritti, dato che essi vanno alla ricerca di un elemento obiettivo e costante, astorico, id est un fondamento assoluto dei diritti dell’uomo.
Il primo dei tre argomenti fa capo al giusnaturalismo e presuppone che i diritti riconosciuti dall’ordinamento siano preesistenti ad esso perché spettano all’uomo in quanto uomo. Tale concezione sostiene l’esistenza di un diritto naturale, indipendente dalla volontà degli uomini, che precede il diritto positivo e ha un valore superiore ad esso. Nel secondo caso i diritti appaiono come evidenti e l’uomo, in quanto essere dotato di ragione, non può che riconoscerli in quanto tali. Ma le due argomentazioni non sembrano fornire una soluzione certa e definitiva al problema del fondamento dei diritti. La prima, oltre a far coincidere il diritto positivo con la morale (naturale), si riferisce ad un dato difficilmente individuabile in modo certo e univoco: la natura umana. In altre parole appare difficoltoso ancorare il riconoscimento dei diritti umani ad un dato la cui essenza è controversa e dipende dalla differente concezione dell’uomo che ciascuno coltiva. Oltretutto con il riferimento alla natura umana si potrebbero in realtà fondare tutta una serie di diritti, anche i più diversi fra loro e anche i meno fondamentali, o meglio fondamentali secondo l’opinione di chi li sostiene. L’ autoevidenza alla ragione presta il fianco alle difficoltà di considerare determinati valori come evidenti, anche alla luce di quella che Bobbio definisce la verifica storica di tali valori: in sintesi, ciò che è considerato evidente in un dato momento storico, può non essere tale in un momento storico differente.
Risulta da quanto detto la problematicità della ricerca di un fondamento assoluto dei diritti fondamentali. Fondamento assoluto significa ragione ultima, significa trovare il valore che giustifica e che non ha giustificazioni. Ma individuare tale fondamento è estremamente difficile in relazione ad una categoria, quella dei diritti fondamentali, di per sè complessa e non facile da definire, come dimostrano le numerose definizioni tautologiche o le definizioni cosiddette neutre, cioè formali, ideologicamente neutrali, che prescindono dai bisogni sostanziali dell’uomo o da valori o beni vitali e che in linea astratta estendono la categoria stessa fino a ricomprendervi qualsiasi diritto purché abbia determinate condizioni (per esempio il diritto di fumare attribuito alla persona, al cittadino o al capace d’agire per riprendere la definizione di Ferraioli). Si può cercare un fondamento assoluto che giustifichi il diritto alla libertà personale e il diritto di fumare? Per questo Bobbio ritiene sia un’illusione cercare il fondamento ultimo dei diritti, anche perché se questo esistesse i diritti stessi, che trovano in esso la loro giustificazione, dovrebbero essere omogenei e indefettibili, nel senso che non dovrebbero poter essere limitati.
La nozione di diritto fondamentale, invece, oltre che essere difficilmente definibile, comprende una serie di situazioni giuridiche qualificabili come pretese (negative o positive) assai eterogenee fra loro. Come stiamo attualmente esistendo, invero, proprio perché tali, possono ben venire in contrasto fra loro e comportare la limitazione di un diritto a favore dell’altro; il che prova che è difficile trovare una giustificazione ultima dei diritti fondamentali, che non consentirebbe una valida restrizione del diritto stesso.
Per tali ragioni la prospettiva deve mutare il proprio punto di riferimento: ha un senso trovare il fondamento dei diritti o questa non è un’operazione neppure desiderabile proprio perché inutile?
Se si sostiene che il fondamento dei diritti vada comunque ricercato bisogna comprendere come e perché. Se appare chiaro che non è semplice individuare un fondamento assoluto, può sostenersi tuttavia che il fondamento, appunto, non sia necessariamente tale, ma che sia ipotizzabile una pluralità di “fondamenti”, che darebbe luogo ad una gerarchia di valori fondanti i diritti.
Ciò servirebbe, innanzi tutto, a risolvere i conflitti intercorrenti fra i vari diritti ed ancor prima ad ammettere che ben possono esistere tali conflitti, proprio perché i fondamenti sono differenti e si pongono l’uno gerarchicamente sovraordinato rispetto all’altro.
Il che sembra essere la ragione giustificatrice di alcune decisioni assunte dalla giurisprudenza nell’attuale periodo di crisi: ad esempio, si legge nel decreto del Presidente del Tar Sardegna n. 141/2020 del 20/04/2020, a proposito della legittimità di un’ordinanza regionale più restrittiva dei provvedimenti nazionali in tema di chiusura delle librerie, che va “considerato che, nella valutazione dei contrapposti interessi, nell’attuale situazione emergenziale, a fronte di una compressione di alcune libertà individuali, deve essere accordata prevalenza alle misure approntate per la tutela della salute pubblica”.
Ma il dubbio che sorge è: come individuare tali fondamenti? Torna qui in gioco il terzo modo di fondare i diritti detto sopra. Il consenso dei consociati su determinati valori giustifica il loro riconoscimento sotto forma di diritti in un dato momento storico e in un dato ordinamento. Nei due argomenti visti lo schema logico era: diritti dell’uomo preesistenti———–entità oggettive e assolute——astoriche—–riconoscimento dell’uomo nell’ordinamento.
Se in tale caso il diritto positivo non riconosce i diritti è invalido: l’uomo ha quei diritti, ma l’ordinamento non li prevede.
Nella teoria del consenso invece la norma che prevede un diritto è creazione dell’uomo stesso, o meglio della comunità umana che è concorde nel riconoscimento di un certo diritto, tenuto anche conto delle condizioni storiche, sociali ed economiche che caratterizzano quel dato momento storico. In questo senso i diritti dell’uomo sono per loro natura relativi. Tale consenso, per esempio, è dimostrato dall’adozione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, per mezzo della quale secondo Bobbio <l’umanità, tutta l’umanità, condivide alcuni valori comuni e si può credere finalmente all’universalità dei valori… nel senso in cui universale significa non dato oggettivamente, ma soggettivamente accolto dall’universo degli uomini>. Ma è necessario altresì osservare che il metodo del consenso è utilizzato sia dai positivisti sia dai non positivisti, come ad esempio Habermas secondo cui il diritto positivo dovrebbe accordare i diritti fondamentali che i cittadini si riconoscono reciprocamente. Dai non positivisti la teoria del consenso è utilizzata per cercare un fondamento ai diritti fondamentali; dai positivisti è invece utilizzata per dimostrare l’inutilità e la non desiderabilità di tale ricerca. Proprio la Dichiarazione universale, per esempio, sotto tale profilo, avrebbe dimostrato che la maggior parte degli Stati, anche ideologicamente lontani, hanno oramai condiviso i valori fondamentali, per cui la questione dei fondamenti ha perso importanza e interesse, assumendo rilevanza la questione della realizzazione di quei diritti.
Tuttavia anche a tal proposito può essere mossa qualche riserva critica. E’ proprio vero che il consenso è un criterio valido di giustificazione dei diritti? Sembra infatti che ponendo alla base delle norme che riconoscono i diritti il consenso degli uomini, l’elemento normativo venga spiegato in relazione ad un consenso di fatto su certi valori, confondendo in tal modo il dover essere con l’essere. Ma ancor di più i dubbi sorgono in relazione all’oggetto del consenso. Può esservi il consenso alla base dell’oggettività scientifica? Appare più plausibile il contrario, ossia che sia il consenso ad intervenire sul dato oggettivo, e cioè in un momento successivo e non antecedente alla creazione della norma.
Delle perplessità sorgono anche in relazione al riferimento alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Se è infatti innegabile che essa rappresenta un importantissimo passo avanti nel riconoscimento dei diritti umani, va altresì preliminarmente osservato che essa non si estende all’umanità nel suo complesso, dal momento che non tutti gli Stati al mondo ne sono firmatari. Ma, più precipuamente, il consenso espresso in tale documento e in altre carte di diritti (come la CEDU) non sembra aver reso del tutto inutile il problema del fondamento dei diritti umani. A parte i problemi legati alla interpretazione del documento, va osservato che il riconoscimento di tali diritti come fondamentali non ha eliminato del tutto le limitazioni che gli stessi possono soffrire. Limiti che non derivano da un problema di realizzazione o di garanzie dei diritti accordati, ma dalla stessa formulazione di essi, dal momento che sono le stesse carte a prevederli (si guardi, per esempio all’art.15 della CEDU, che prevede deroghe in caso di urgenza). Ma si pensi anche al ricorso sempre più diffuso alle fonti necessitate, che consentono limitazioni pesanti a diritti ritenuti vitali (ci si riferisca per esempio all’USA Patriot Act, emanato all’indomani dell’11 settembre che comprime alcune facoltà inerenti la libertà personale o appunto all’attuale generosa normazione restrittiva adottata per fronteggiare l’emergenza Covid-19).
Tutto ciò rileva in relazione al fondamento dei diritti, dato che anche in una prospettiva relativistica, va capito se e perché all’uomo spettano determinati diritti in modo pieno e incondizionato. Problema, che secondo quanto detto, appare difficile, tanto che Bobbio parla a tal proposito, con espressione certamente attuale anche in riferimento alla situazione di emergenza sanitaria in essere, di una vera e propria crisi dei diritti  fondamentali e dei suoi fondamenti.

Avv. Fabrizio Carta